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La colpa atavica in Lovecraft (prima parte)

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Tra tutti i temi della produzione Lovecraftiana, quello che riguarda la colpa atavica, cioè quella che discende sul singolo per il solo fatto di appartenere ad una certa stirpe, è uno dei miei preferiti.

Se ci hai fatto caso, molti dei componimenti del Maestro di Providence sono incentrati sul tema ricorrente del richiamo del sangue, declinato – secondo le linee generali della poetica lovecraftiana – nell’espiazione di una colpa risalente, consistita in certi orribili “traffici occulti” e, in generale, nella pratica della magia nera.

I traffici con entità abominevoli che poi successivamente – per quanto riguarda questo articolo – si traducono in una colpa che di solito tocca all’ultimo discendente espiare, possono essere, a seconda dei casi, tradotti in scelte narrative diverse che però rispondono ad un minimo comune denominatore che metteremo in luce dopo aver indagato più da vicino i testi di questo filone.

Nel primo dei due articoli gemelli dedicati all’atavismo lovecraftiano, analizziamo le trame dove questo tema risulta con più forza. Puoi trovare il secondo cliccando qui.

"Il caso di Charles Dexter Ward"

Questo racconto è escluso da questa trattazione perché, pur affrontando il tema della discendenza, non presenta le caratteristiche tipiche della colpa atavica tanto cara al Maestro di Providence. Ora, non prendiamoci in giro, entrambi sappiamo che il povero Ward è l’ultimo discendente di Joseph Curwen, uno stregone che ai suoi tempi di misfatte ne aveva combinate parecchie. Ma entrambi sappiamo, come vedremo con le opere successive, che in questo caso la faccenda si risolve lì: il terribile antenato in questo caso costituisce solo un’occasione per dare il pretesto a un incauto ragazzo di aprire delle porte che mai dovrebbero essere aperte.

"La verità sul defunto Arthur Jermyn e la sua famiglia"

Arthur Jermyn, studioso e uomo di cultura, ha faccia e fisico “irregolari e ripugnanti”, soprattutto per quanto riguarda “l’espressione e la lunghezza delle braccia”.

Nella prima parte della storia, HPL spiega brevemente le vicende della famiglia Jermyn nel corso degli anni. In particolare si sofferma su Wade Jermyn, l’ultimo antenato di Arthur ad essere in possesso di fattezze del tutto umane. Anche egli studioso, Wade passa la sua vita da ricercatore in Africa, dove scopre “gigantesche colonne di una città dimenticata” e “silenziosi gradini di pietra che sprofondavano senza fine in caverne e inconcepibili catacombe”. Fornisce poi orribili allusioni riguardo a scene assurde viste alla luce della luna del Congo”, suggerendo che quei posti siano ancora abitati da strani esseri viventi.

Questi esseri, come poi Arthur scopre dopo qualche ricerca, sono simili a delle “scimmie bianche”, governate “da una Dea-scimmia bianca”, ora ridotta a una reliquia imbalsamata, andata in sposa a un altrettanto bianco Dio venuto da Occidente. Noi capiamo subito che cosa c’è dietro la storia degli antenati di Arthur, perché fin dalle prime battute Lovecraft ci racconta delle strane vicende riguardo alla moglie di Wade: violenta e praticamente mai vista da nessuno in vita e, chissà perché, di origini dubbie. Sappiamo solo che torna con lui da uno dei suoi viaggi in Africa e, sempre in uno di questi viaggi, muore e viene seppellita lì. Facciamo due più due prima del protagonista e aspettiamo solo l’orrore finale.

Alla fine, Arthur riesce a recuperare la mummia della dea imbalsamata e impazzisce alla vista di un oggetto al suo collo: il medaglione con lo stemma della famiglia Jermyn. La trisavola di Arhtur è proprio la dea-scimmia e lui un “ibrido” grottesco.

"La paura in agguato"

Questo racconto è sui generis: il protagonista e narratore non è parte dell’etnia maledetta ma solo un cronista di una vicenda ambientata sulla Tempest Mountain, sede della antica Casa Martense, ora in rovina, i cui membri avevano la caratteristica comune di subire in modi particolari gli influssi dei tuoni.

Parliamo di colpa atavica.

Il protagonista si reca in quella “montagna spettrale e desolata” per indagare circa le stragi che stanno avendo luogo nei paesi vicini ad ogni temporale. Sembra, infatti, a detta degli abitanti, che un demone – lo spettro di Jan Martense, dicono, ucciso dai suoi familiari – infesti quella vecchia casa e che si spinga ad uccidere nascosto dai tuoni.

Ebbene, noi sperimentiamo fin da subito il contatto con questa entità “informe e senza nome” che, in uno slancio spettacolare che riassume tutta la sua poetica, Lovecraft riassume così:

[…] apparteneva all’ignoto, era una di quelle minacce senza nome che a volte ci pare di sentir grattare ai confini dello spazio ma da cui, per fortuna, la nostra visuale limitata ci garantisce una misericordiosa immunità.”

Per farla breve, in un crescendo di orrore, il protagonista scopre una serie di tunnel sotterranei che si dipanano da sotto la casa e arrivano chissà dove. In un luogo dove ogni cosa “sembrava sporcata da un contagio disgustoso e animata da una riprovevole connivenza con poteri occulti e malefici” i riferimenti all’Avventura del sigillo nero di Machen e al mito del piccolo popolo sfociano in una terrificante rivelazione.

I Martense, scomparsi quasi di punto in bianco, lungi dall’essere scappati, sono sempre stati presenti in quei cunicoli, accoppiati gli uni con gli altri, degenerando in ibridi cannibali. Tutta la stirpe dei Martense è la responsabile degli omicidi, compiuti dopo la deflagrazione dei tuoni che li spinge fuori dai sotterranei.

"La ricorrenza"

Questo racconto è l’antenato de “La maschera di Innsmouth”, in inglese “The Shadow over Innsmouth”. Rientra a pieno titolo nel tema della colpa atavica e delle sue conseguenze per il legame familiare tra il protagonista e gli orrori della celebrazione. Troviamo anche rifermenti a esseri ibridi e grotteschi, prototipi dei futuri incroci blasfemi tra umani e Quelli-degli-abissi.

Ne ho parlato in dettaglio in questo articolo, al quale ti rimando.

"La maschera di Innsmouth"

Riconducibile alla colpa atavica è senza ombra di dubbio “La maschera di Innsmouth”, anche se per ragioni di spazio lascio i dettagli della trama in secondo piano.

Come abbiamo visto prima, questo racconto – abbastanza lungo – è niente meno che lo sviluppo de “La ricorrenza”: HPL ha ampliato l’idea alla base di questo primo componimento e ha sotteso lo sviluppo allo schiudersi di nuovi mondi del suo mito.

Quello che mi preme sottolineare sono due aspetti particolari. Il primo è che l’ibridazione, e le sue conseguenze per il protagonista, in questo caso risaltano come soggetto principale del racconto. Dopo un’iniziale rigetto dettato da una febbrile follia, le sue conseguenze vengono, in estrema sintesi, accettate dall’anonimo narratore:

Nuoteremo fino al solitario scoglio e ci tufferemo nei neri baratri sottomarini dove sorge la ciclopica Y’ha-nthlei, dalle mille colonne, e nel rifugio di Quelli-degli-abissi vivremo per sempre in un mondo di meraviglie e di gloria.”

Il secondo punto è il ruolo del cimelio quale conferma dell’ibridazione, come è già una prassi consolidata per questo filone narrativo lovecraftiano: in questo caso si tratta dei gioielli degli Orne appartenuti a una misteriosa antenata, della quale poi il protagonista finisce a domandarsi – dopo che nel corso dell’opera l’occorrenza di certi traffici con esseri abominevoli è più che suggerita – la vera natura.

La risposta definitiva è demandata a un sogno rivelatore – giustificato scientificamente con le solite capacità telepatiche proprie di certe razze – nel quale l’antenata invita il discendente a unirsi a lei in un “palazzo fosforescente” dalle “innumerevoli colonne” sito sotto il mare.

"Il diario di Alonzo Typer"

Il protagonista è un investigatore dell’occulto, che si trova ad indagare nell’antica casa appartenuta alla famiglia dei Van der Heyl, poco fuori il villaggio di Chorazin, proprio a ridosso del Sabba di Valpurga.

Attorno alla casa, in collina, sorge un circolo di monoliti, con tutto quello che ne consegue, a parte i soliti inspiegabili tanfi. Infatti, secondo le leggende dei primi pionieri si sentirebbero strane urla o canti che in determinati periodi dell’anno si levano da dalla magione e dalla collina”.

Dopo aver fatto rivolgere a Typer qualche commento riguardo l’ottusità degli abitanti del villaggio lì vicino, HPL inizia a mostrarci le indagini del protagonista a mo’ di diario.

In questo edificio, nel quale Typer avverte un “spiacevole senso di familiarità, la minaccia in agguato è quello che io credo essere uno dei Grandi Antichi del quale non viene fornito il nome ma del quale si sa solo l’aspetto generale simile a una prova scagliosa e la sua provenienza: la temuta città di Yian-Ho. Questi è la colpa atavica di Typer.

Nei quadri raffiguranti i Van der Heyl, sono presenti alcuni ibridi, in questo caso tra umani e rettili. Si nota benissimo grazie agli accenni vaghi e i tenui suggerimenti con i quali HPL impreziosisce la narrazione:

[…] mi è sembrato che l’artista abbia dato a quel colorito pallido un tono di verde malsano, oltre a un vaghissimo accenno di scagliosità della pelle.”

Dopo aver ritrovato il diario di Claes, il capofamiglia, grazie a certi nomi vergati sul manoscritto, Alonzo scopre di essere un lontanissimo discendente di Claes che anni prima aveva evocato l’Essere. La cosa lo ha chiamato in quella dimora per onorare un patto antichissimo.

"I topi nel muro"

Questo racconto è ambientato ad Exham Priory, casa dei De la Poer, antenati del protagonista, che gli abitanti temevano e odiavano: incolpati di sparizioni dai vicini villaggi, visti assieme “demoni con ali di pipistrello”. Poi responsabili di urla provenienti dalla valle, fino ad arrivare alle voci su presunti sabba.

In breve.

I gatti, unici abitanti assieme a pochi altri aiutanti della Exham Priory, iniziano a fiutare qualcosa nei muri. Topi, si sospetta.

Subito dopo, quasi in contemporanea, il nostro protagonista infatti vive una specie di reminescenza atavica attraverso degli incubi. In particolare, i suoi sogni confusi sono popolati da una mandria di cose bianche, guidata da una specie di “demone porcaro” all’interno di una caverna enorme. L’incubo si risolve con la vera e propria esperienza ancestrale: un’orda di topi sopraggiunge e divora sia il porcaro che il suo terribile gregge.

Proprio i topi, che solo il protagonista De la Poer sente grattare, lo conducono assieme ad altri della servitù, fin nei sotterranei della Priory. Le scoperte si susseguono in un climax sempre più angosciante: sotto a un altare si apre una voragine di scalini che scende ancora più in basso, sino a una caverna sotterranea.

Neanche a dirlo, è la stessa del sogno del protagonista: vi sono costruzioni simili a case, recinti e ossa di mostruosi ibridi semi-umani.

Il sangue dei De la Poer conduce il narratore alla rivelazione: in quei recinti, gli ibridi biancastri erano messi all’ingrasso. Il climax giunge al suo culmine quando il protagonista viene sopraffatto dalle memorie della sua stirpe e impazzisce. Viene ritrovato a farneticare sui topi, mentre si sta cibando del suo compagno. Il cannibalismo è la colpa atavica dei De La Poer.

Bibliografia:

  • Le citazioni da “La verità sul defunto Arthur Jermyn e la sua famiglia” e “La paura in agguato” sono tratte da “Howard Phillips Lovecraft, Tutti i racconti 1897-1922“, a cura di Giuseppe Lippi, Mondadori, 2010.
  • Le citazioni da “La ricorrenza” e “I topi nel muro” sono tratte da “Howard Phillips Lovecraft, Tutti i racconti 1923-1926”, a cura di Giuseppe Lippi, Mondadori, 2010.
  • Puoi leggere “Il caso di Charles Dexter Ward” in “Howard Phillips Lovecraft, Tutti i racconti 1927-1930”, a cura di Giuseppe Lippi, Mondadori, 2010.
  • Le citazioni da “La maschera di Innsmouth” e “Il diario di Alonzo Typer” sono tratte da “Howard Phillips Lovecraft, Tutti i racconti 1931-1936”, a cura di Giuseppe Lippi, Mondadori, 2010.