Si può essere originali pur mantenendo costanti i soggetti e le ricorrenze della trama?
A mio modesto parere sì.
Nonostante Montague Rhodes James raramente si fosse discostato da un certo tipo di soggetto – parlo dei classici racconti di fantasmi, tanto classici da venire letti spesso, secondo tradizione, attorno al caminetto la Vigilia di Natale –, la sua produzione non può non rientrare a pieno titolo tra quella più influente per il moderno weird.
Ti presento James
La prima cosa che non ti nasconderò di questo autore, è il fatto che fosse un cultore dell’antichità.
Sì, l’antichità di certi manufatti e il fascino che li circonda, spesso e volentieri, è la chiave con la quale l’orrore soprannaturale può farsi strada nel mondo del protagonista.
Non tacerò, nemmeno, la rilevanza degli studi classici di James per delineare al meglio la figura del nostro sventurato alter ego nella storia: la vita di James è praticamente trascorsa sui libri e nelle polverose stanze del King’s College a Cambridge, in quanto studioso di medievalistica e appassionato di filologia – riportando, peraltro, discreti successi in entrambi i rami che gli sono valsi poi il titolo di Rettore del College.
Il protagonista di James, quindi, è spesso e volentieri uno studioso di antichità – o un appassionato, come ne L’album del Canonico Alberico. Se hai letto qualcosa di questo autore – ti invito a farlo – troverai nelle introduzioni un breve excursus sulle sue pubblicazioni, a prova che non ti sto raccontando frottole sulla rilevanza del tema dell’antichità nei suoi lavori oltre che nella sua vita. Pensa infatti che le sue due prime raccolte di racconti sono state Ghost stories of an Antiquary – uscito nel 1904, i suoi brani sono i miei preferiti – e More Ghost stories of an Antiquary, stavolta nel 1911.
L’ambientazione di James
“[…] il dottor James […] nella prefazione ad una delle sue antologie ha formulato tre valide regole per la composizione di racconti macabri. Una storia di fantasmi, egli opina, (1) dovrebbe avere un’ambientazione consueta e contemporanea, al fine di avvicinarsi quanto più possibile alla sfera d’esperienza del lettore. Inoltre, (2) i fenomeni spettrali di cui tratta dovrebbero essere maligni anziché benigni; perché la paura è il sentimento che si deve suscitare innanzi tutto. E, infine, (3) il gergo pseudo scientifico dell’occultismo dovrebbe essere evitato con cura, perché il fascino di una verosimiglianza casuale non venga sciupato da una pedanteria affatto convincente.”
In James, l’ambientazione è importantissima e si rifà proprio alle passioni e alle aspirazioni del protagonista della storia, segnando già di per sé un’innovazione rispetto al classico gotico e ai suoi standard ambientali; è già così abbastanza originale. Ebbene, l’ambientazione a prima vista così innocente, trattandosi di tranquilli villaggi, altrettanto tranquille locande e luoghi di vacanza è soprattutto una scelta narrativa. Ovviamente non è sempre vero: ci sono casi nei quali si inizia con un’atmosfera familiare e poi si finisce in qualche cripta. Ciò che fa la differenza è la descrizione: in tal caso, anche se parliamo di un pozzo come ne “Il tesoro dell’Abate Thomas”, questo non verrà mai subito dipinto come inquietante, ma se mai con la genuina curiosità dello studioso.
Il lettore si aspetta che l’orrore abissale spunti da dietro un angolo qualsiasi di una cattedrale cupa e deserta, vero. Ma quando si tratta della una stanza di un delizioso albergo come ne “La stanza numero 13″?
Ciò che conta è massimizzare l’effetto sorprendente e incredibile della sospensione oltre la natura: ci si sente al sicuro in un ambiente familiare.
Come si può, però, far sì che tutto quello che vediamo abitualmente risulti incredibilmente minaccioso?
La tecnica narrativa di James
Essenzialmente un autore può spaventarci in due modi: il primo è narrare apertamente qualcosa di perturbante e descriverlo fisicamente. Pensa al body horror di Barker.
Il metodo fatto proprio da James, invece consiste di allusioni: un dettaglio fuori posto, un particolare che di per sé sarebbe insignificante ma che, in correlazione con il ritrovamento di un certo oggetto, suggerisce le più terrificanti implicazioni. Un esempio fortunatissimo è rappresentato in “Fischia e verrò da te”, uno dei miei racconti Jamesiani preferiti. Il Sig. Parkins percepisce cose strane dopo il rinvenimento di uno strano fischietto. Subito nota la presenza di un “compagno” sulla passeggiata di ritorno dalla sua scoperta:
“gli rivelò la presenza di un compagno in quella sua passeggiata, nella figura piuttosto indistinta di una persona che sembrava stesse facendo grandi sforzi per raggiungerlo […], si sarebbe detto che corresse ma che la distanza tra lui e Parkins non sembrava diminuire.”
“[…] poi richiuse la finestra, un po’ sorpreso di vedere un abitante di Burnstow ancora in giro a quell’ora tarda.”
Ciò rende benissimo l’idea di un inseguimento, o pedinamento. James ci preannuncia la catastrofe imminente, ma è solo dopo il fischio che le stranezze sia accumulano:
“Lo sfregamento del fiammifero sulla scatola e il bagliore della fiamma dovevano aver sorpreso delle creature della notte – topi o altro – di cui sentiva i piccoli passi e il fruscio sul pavimento accanto al letto.”
Il suggerimento Jamesiano: “un tocco lieve”
Quando James ci descrive la natura dell’orrore, l’effetto allusivo viene lo stesso raggiunto da una descrizione appena abbozzata: sappiamo che i ragni de “Il frassino” fossero “grossi come delle teste” ma non sappiamo come fossero fatti esattamente. Sappiamo che quel terribile spettro che abbiamo scatenato avesse una faccia simile al “lino gualcito”. Ma poi?
Ce lo dobbiamo immaginare, spesso attraverso le impressioni dei protagonisti. Prendiamo ancora “Fischia”: un ragazzo che passava per caso sotto le finestre dell’albergo annuncia l’orrore, perché ha visto qualcuno che, dalla finestra di Parkins, gli “faceva dei cenni”. La cosa sembrava una “persona vestita di bianco” ma non l’aveva vista in faccia. Quando Parkins e il colonnello vanno ad assicurarsi che non ci sia un intruso, la porta della stanza è chiusa a chiave come l’aveva lasciata il suo occupante e l’unica cosa fuori posto è, ovviamente, il letto che già era stato trovato sfatto: “le coperte erano arrotolate e attorcigliate fra loro in un confusissimo sviluppo”.
A prova dell’enorme influenza di questa tecnica descrittiva dell’orrore, cito Lovecraft, un autore che ha fatto tesoro della lezione, ribadendo la necessità di un “orrore appena accennato”:
“Il dottor James, nonostante il suo tocco lieve, evoca terrore e repulsione nelle forme più sconvolgenti; e rimarrà certamente come uno dei pochi, veri maestri e creatori di questo genere letterario.”
Sul metodo:
“[…] sa esattamente come dosare frasi, immagini e sottili allusioni per ottenere il migliore effetto sul lettore. È un maestro nell’ideare intrecci ed episodi piuttosto che nella creazione di un’atmosfera”, fornendo “l’illusione che si tratti di avvenimenti della vita di ogni giorno” introducendo “i suoi fenomeni abnormi con cautela e gradualità”.
L’orrore Jamesiano
Il suggerimento quindi, ma non solo.
La grossa novità rispetto all’horror tradizionale riguarda essenzialmente l’oggetto della narrazione, ossia la tanto aborrita apparizione. E qui, citando HPL, molto spesso la storia non va “secondo copione” e quando anche questo accada – come in “Fischia e verrò da te” nel quale James ricorre al classico lenzuolo, condito da una faccia abominevole di “lino gualcito” – c’è sempre qualcosa in più, come dotare l’entità di certi particolari attributi:
“[…] il tipico fantasma di James è scarno, basso e irsuto: una infernale, indolente abominazione notturna a metà strada fra la bestia e l’uomo, e di solito viene toccato prima che visto. A volte lo spettro è ancora più abnorme: un rotolo di flanella con occhi di ragno, o un’entità invisibile che si modella con un lenzuolo e mostra una faccia di lino gualcito.”
Spesso e volentieri, James stupisce il pubblico – ricordiamoci del tradizionalismo inglese che si aspetta certe ricorrenze persino nei racconti di fantasmi – fornendogli in pasto sì descrizioni appena abbozzate, ma aventi ad oggetto qualcosa di molto particolare: ha inventato, secondo Lovecraft, un “nuovo genere di fantasma”.
Un nuovo genere di fantasma
Ci sono dei tentacoli ne “Il Conte Magnus”, lo giuro.
Mi riferisco al famiglio che Magnus, a quanto pare un non morto in terra, ha inteso portarsi con sé a seguito di un misterioso “pellegrinaggio nero”. Nella cattedrale di un paesino bucolico, il protagonista nota gli affreschi che il conte aveva fatto dipingere molto tempo prima: la sua attenzione viene attratta, in particolare, da “una creatura estremamente bassa, e imbacuccata in un mantello con cappuccio che sfiorava il terreno. L’unica parte di quell’essere che usciva allo scoperto non aveva la forma né di un braccio né di una gamba”, quanto piuttosto del “tentacolo di un diavolo di mare”.
Tentacoli li troviamo ancora ne “Il tesoro dell’Abate Thomas”:
“Avvertii un terribile odore di terriccio, e sentii una specie di fredda faccia premuta contro la mia, che mi si strusciava lentamente addosso e tante – non so dire – braccia o gambe, o tentacoli, o una cosa simile che mi si aggrappavano.”
Uno spettro particolare emerge dalle pagine de “L’album del Canonico Alberico”: è tratto, inizialmente, direttamente da un affresco raffigurante re Salomone, che aveva la fama di evocare i demoni; l’essere sarà la figura che poi perseguiterà il protagonista, addirittura “sollevandosi in piedi” dietro la sua sedia:
“Dapprima si notava solo una massa di peli neri, grossi e arruffati; poi si vedeva che i peli coprivano un corpo di spaventosa magrezza, quasi uno scheletro, ma con muscoli evidenti come fili metallici, Le mani erano di un pallore bruno, coperte come il corpo di lunghi peli ruvidi e orrendamente fornite di artigli. Gli occhi, di un giallo carico, avevano pupille nerissime e fissavano il Re sul trono con odio animalesco.”
“[…] immaginate uno di quei paurosi ragni del Sud America che acchiappano gli uccelli, tradotto in forma umana e dotato di intelligenza poco meno che umana.”
- Tutte le illustrazioni presenti in questo articolo sono state realizzate da Paul Lowe.
- Tutte le citazioni di Lovecraft riportate sono tratte da “L’orrore soprannaturale in letteratura”, in “Teoria dell’orrore”, Lovecraft, a cura di G. De Turris, Theoria, 2019.
- I brani di James sono tratti da “Racconti di fantasmi”, Montague Rhodes James, a cura di Malcolm Skey, CDE spa, 1989.