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L’orrore scolastico: King e Campbell

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Non nego che, tra tutti gli edifici, le scuole siano quelli che suscitano in me la più intensa sensazione orrifica.

Sei mai stato da solo, o da sola, a percorrere i corridoi deserti di una scuola? Magari poco prima che il personale chiuda portoni e cancelli?

Io sì, e se vuoi sapere qualcosa in più su di me, sappi che di tanto in tanto faccio degli incubi nei quali percorro da solo le scale e le stanze immense della mia scuola delle elementari: anche se il mio “Le ho dato il tuo nome” è ambientato al Cassini, il mio vecchio liceo, di tanto in tanto torno bambino.

Perché le scuole sono così tetre? Secondo me per lo stesso motivo per il quale lo sono i parchi giochi o – un vero e proprio cliché dell’orrore – le altalene.

In parole povere: suggeriscono presenza anche quando c’è assenza. Ci aspetteremo di vedere dei bambini o dei ragazzi ma invece gli unici passi che riecheggiano per quelle mura sono i nostri. E così dovremmo sperare!

Il contrasto, come nel deserto Overlook Hotel in “The Shining”, tra qualcosa che ci aspetteremmo affollato e qualcosa che invece non lo è ci lascia addosso inquietudine – l’eeire che ci descriverebbe Fisher – e sbigottimento.

In questo articolo, se non l’avrai ancora capito, parliamo dell’orrore scolastico e di come due giganti della letteratura horror come King e Campbell l’hanno affrontato.

“A volte ritornano”, di Stephen King

La trama è semplice ma ingegnosa. Un professore del liceo nota che gli studenti che hanno sostituito alcuni ragazzi della sua classe scomparsi misteriosamente siano identici a dei teppisti che avevano ucciso suo fratello durante una rapina, molto tempo fa.

Sono fantasmi dal passato che sono tornati per finire il lavoro in sospeso. E, quindi, uccidere anche lui.

Jim Norman, questo il nome del protagonista, combatterà il male con il male evocando un demone che possa eliminare per sempre i tre bulli fantasma dalla sua vita.

Ma si sa: “a volte, essi tornano”.

“Occhi di fanciulli”, di Ramsey Campbell

In questo caso la trama è ancora più semplice.

Siamo alle elementari. Mary è una ragazzina che cerca in tutti i modi di ottenere le lodi della sua nuova maestra. Quest’ultima, svogliata e senza passione, invece ignora la bambina e la sminuisce in tutti i modi.

La vendetta, anche in questo caso, avviene attraverso un manuale di demonologia e si conclude con un’evocazione inquietante.

Il risultato? Un giorno la maestra cade dalle scale e si rompe l’osso del collo. Tuttavia solo in due – Mary e Karen, occhio degli eventi e presente al rituale prima di fuggire spaventata – sanno che non è stato davvero un incidente. E solo in due sembrano sentire certi rumori che riecheggiano per i corridoi deserti dove non dovrebbe esserci anima viva.

Ramsey Campbell. Uno dei miei autori preferiti.

Caratteristiche dell’orrore scolastico

Proviamo a mettere in luce i punti in comune di queste due opere che io, immagino si capisca, ho letto e riletto almeno un centinaio di volte.

Piccola precisazione: ho lasciato fuori alcuni racconti ambientati a scuola come “Un racconto dei tempi di storia” di M. R. James, nel quale non è l’istituto in sé a suggerire gli elementi orrifici ma è una semplice ambientazione come un’altra. A parer mio, non si tratta di orrore scolastico, ma di una storia di vendetta dall’oltretomba; genere del quale parleremo.

Così come ho deciso di tralasciare un altro racconto di Campbell, “La vecchia scuola”, per il semplice fatto che é ambientata sì in una scuola, ma in una scuola abbandonata. La componente principale non è tanto, in questo caso, la destinazione dell’edificio, quanto il suo essere in rovina. Come si può intuire, l’ambientazione non è decisiva: Campbell potrebbe aver scelto – che ne so – un ospedale abbandonato e l’effetto sarebbe stato identico.

1. La vendetta

E con vendetta intendo tuffarmi senza troppi pensieri nella semantica relativa a un “qualcosa lasciato in sospeso”.

La scuola forse a noi dice questo, sai?

Quante volte ti capita di pensare agli anni passati a studiare, ai professori, agli amici?

Soprattutto: quali cose potevano essere gestite in modo diverso? Quali amicizie avresti dovuto curare meglio? Perché la prof. di matematica ce l’aveva sempre – e solo – con te?

Queste e tante altre le questioni in sospeso che, non provare a negarlo, ogni tanto sfiorano la tua mente anche se non le aspetti. Senza dubbio gli episodi negativi saranno preponderanti in questa breve riflessione.

La vendetta – nei due testi di sopra, ovviamente romanzata – è la base delle relazioni umane più acerbe e dei conflitti irrisolti: due componenti imprescindibilmente legati alla giovinezza e a un ambiente zeppo di impulsi come quello scolastico.

Facendoci ritornare ai tempi di scuola e utilizzando il tema della vendetta, King e Campbell non fanno altro che suggerirci un impulso, ancorato alle nostre – più o meno risalenti – memorie. Ci preparano per il tema fondamentale della storia ancora prima di introdurre la maestra antipatica di Mary o i tre bulli che perseguitano Jim.

2. La magia nera

Una scelta originale. Non so come altro descriverla.

Ebbene, in tutti e due i racconti, i protagonisti – sono sempre loro quelli vendicativi – che si determinano ad agire lo fanno con la stregoneria.

“Cominciò a spingere i tavoli verso le pareti, lasciando una sorta di cerchio libero al centro della stanza. […] prese il gesso dal cassetto della scrivania e, seguendo esattamente il diagramma del libro, con con l’aiuto di un righello tracciò sul pavimento un pentagramma.”

S. King “A volte ritornano”, in A volte ritornano, Bompiani, 1992.

“[…] Mary cominciò a borbottare. Stava inventando? A Karen non suonava come una lingua. Se l’aveva imparata dal libro […] doveva averlo fatto durante la notte. C’era sicuramente una buona possibilità che l’avesse appresa male.”

R. Campbell, “Occhi di fanciulli”, in “Incubi e Risvegli”, Fabbri, 1994.

C’è un perché di questa scelta?

Beh, senza raccontarci balle, essenzialmente perché siamo in un contesto di orrore fantastico. La vendetta può essere demandata a una spedizione punitiva nei bagni? Magari sì, se ci muoviamo in un contesto da slasher americano degli anni ‘80, per dirla come i cinefili. Stesso discorso per gli omicidi seriali – non quelli di “Scary Movie”. Però qui parliamo di soprannaturale.

Il primo e vero motivo è che pensiamo ad evocare un demone o a eseguire un rito vudù essenzialmente per colpire qualcuno. Lo associamo immediatamente al già richiamato concetto della vendetta. Forse, nel campo dell’orrore paranormale, questo è il mezzo prediletto.

Il secondo motivo si lega al punto tre di questa sintetica carrellata.

Con la demonologia e il riferimento a forze oscure, il richiamo tematico va a strizzare l’occhio – perdonami l’ovvietà! – all’invisibilità. Invisibilità che si collega a doppia mandata con la perdita di controllo su un mondo che la scuola stessa ci ha insegnato ad essere un susseguirsi ineluttabile di cause ed eventi. L’orrore scolastico mina le nostre certezze educative e sociali.

"Eppure sembrava così affidabile!"

3. Perdere il controllo di quello che si è richiamato

Perso il controllo, tutto è spaventoso.

C’è un prezzo da pagare per chiunque intenda attuare la sua vendetta. Lezione che dicono essere vecchia come il mondo ma che i protagonisti di “Occhi di Fanciulli” e “A volte ritornano” impareranno a loro spese.

Impareranno, perché Campbell e King lasciano noi lettori con il più classico dei cliffhanger. Non sappiamo se e quando la cosa che gli sventurati occultisti hanno evocato colpirà. Sappiamo solo che lo farà, perché così ci viene abilmente suggerito.

Jim Norman ad esempio, dopo aver creduto di essere inseguito non appena terminata la sua personale rivalsa sui tre bulli, si volta di scatto ma trova il nulla. Così:

“Jim ricordò l’ammonimento contenuto in “Come evocare i demoni”: il pericolo che l’operazione comportava. Potevi forse chiamarlo, potevi forse indurli a lavorare per te, potevi perfino sbarazzartene. Ma, a volte, essi tornano.”

Più suggestivo – e da brividi – è quanto ci racconta Campbell:

“La puzza stava aumentando […] mentre la stanza era diventata immobile in modo opprimente. Non le piacque il modo in cui sembrava che tutti i disegni la stessero guardando […]. Quelle figure dalle gambe disuguali […] sembravano colte nell’atto di muoversi.”

Non solo, perché l’orrore assume altre forme idonee a suggerire la presenza spettrale:

“Karen udì un suono sinistro […]. Il signor Waddicar stava zoppicando lungo il corridoio. […] Karen diede un’occhiata alla finestra, e improvvisamente si sentì la lingua bloccata. Come poteva il signor Waddicar zoppicare deciso lungo il corridoio quando lei poteva vederlo fuori in cortile?”

4. La semantica comune

La scuola è il vero protagonista, anche se il suo ruolo è delineato diversamente nelle due opere.

Per Jim Norman costituisce né più né meno che l’occasione di rivivere un trauma infantile. Questo perché gli assassini-fantasma di suo fratello non avrebbero potuto manifestarsi diversamente tutti assieme: ricorrere di nuovo a un inseguimento per le vie oscure di una cittadella mezza addormentata sarebbe stato davvero banale. Ma anche perché scuola si lega a trauma: lo stesso che il povero insegnante ha vissuto da ragazzino.

Per Mary è diverso. Campbell qui sfoggia tutta la sua maestria nel racconto di ambientazione e nel suggerire i dettagli orrifici: quella cosa, liberata e fuori controllo, zoppica, si trascina. Si sente ma non si vede.

La scuola costituisce la genesi dell’orrore perché suggerisce presenza, o assenza, a seconda dei casi.

Qui la presenza è suggerita quando i corridoi dovrebbero essere deserti. Quando invece sembra che tutto l’edificio sia di nuovo animato, i protagonisti percepiscono che qualcosa d’altro potrebbe apparire all’improvviso:

“Sebbene il corridoio fosse soleggiato e deserto, con il suo linoleum macchiato da riflessi gessosi delle pareti era molto lungo. Mentre lo risaliva correndo, mantenendosi al lato opposto delle porte delle aule, tutti i passi erano l’eco dei suoi, o ce n’era qualcuno di zoppicante?”

“In qualche punto della scuola il signor Waddicar stava zoppicando. C’era qualcuno che zoppicava di fianco a lui, o erano solo degli echi? Non poteva trattarsi del signor Waddicar nei corridoi perché i passi erano troppo numerosi. Dovevano essere bambini, che zoppicavano peggio di lui.”

“Le notti diventavano sempre più buie, il corridoio era molto lungo, e laggiù in fondo qualcosa zoppicava, zoppicava.”

In King:

“A mezza strada, qualcosa – un’ombra, o forse soltanto un’intuizione – lo fece voltare di scatto. Qualcosa di invisibile parve ritrarsi.”

"Il corridoio era molto lungo."

Ti vengono in mente altri titoli simili da catalogare nell’ambito dell’orrore scolastico? Io, personalmente, andrò a rileggere “Occhi di Fanciullo”. Così, per non farmi mancare niente! Per il resto, ci vediamo al prossimo articolo su Teorie e Tecniche.

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