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Orrore e luoghi di aggregazione

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I luoghi di aggregazione come scuole, luna park, alberghi – e chi più ne ha, più ne metta – si prestano davvero bene a due grosse categorie di trama. La prima è quella dell’infestazione che abbiamo già affrontato per le scuole e per gli alberghi. La seconda costituisce invece l’oggetto di questo articolo. Di che parliamo?

Un gruppo di persone si ritrovano per uno scherzo del destino a combattere contro un orrore esterno. Molte opere letterarie si soffermano su questa premessa di trama: delle persone che nulla hanno a che vedere le une con le altre devono fare i conti con una vera e propria fine del mondo.

Sono molto affezionato a questa tematica, non per questo “Manichini”, il mio primo romanzo, appartiene a questa specie di categoria narrativa che ha avuto molto successo anche nel mondo cinematografico.

Quali sono le sue caratteristiche? Scopriamolo assieme. Prima però due esempi per inquadrare il discorso.

"La maschera della morte rossa": l'antenato

Se dovessi trovare un modello di partenza per la discussione relativa a questa specie di sottogenere, indicherei proprio questo racconto di Poe.

In un tempo imprecisato, il principe Prospero e i cortigiani di un altrettanto imprecisato regno si barricano nella reggia per proteggersi da un morbo che sta imperversando nelle contrade cittadine: la Morte rossa.

Durante un ballo in maschera, però, gli sventurati reclusi si trovano a fare i conti con un ospite misterioso e indesiderato. La Morte rossa ha trovato il modo di far breccia anche nell’inespugnabile corte, condannando anche gli ultimi superstiti. L’orrore apocalittico è presente fin dalle prime righe di questo racconto:

“Da tempo la Morte Rossa devastava il paese. Mai epidemia era stata più fatale, o più spaventosa.”

Così come lo stato di isolamento assoluto dall’esterno:

“Erano decisi a non lasciare alcuna possibilità di entrata o di uscita agli improvvisi scatti di disperazione o di demenza che potevano nascere all’interno.”

Gli umani tentano a loro modo di resistere all’incedere inesorabile del modo scarlatto, nel contempo rinforzando il loro legame sociale con feste e balli:

“[…] vi erano buffoni, improvvisatori, ballerini, musicanti, vi era la bellezza, vi era il vino.”

L’esito, preannunciato da una figura spettrale travestita da effigie della Morte rossa, è comunque infausto:

“E l’Oscurità, la Decomposizione e la Morte rossa regnarono indisturbate su tutto.”

Un'illustrazione de "La maschera della morte rossa", Harry Clarke, 1919.

"The Mist": il volto moderno

Un uomo e suo figlio si trovano barricati assieme ad altri compagni di sventura in un supermercato, al riparo da una misteriosa nebbia che avanza inesorabilmente ricoprendo, in apparenza, ogni angolo di mondo, e dalle creature mortali che la infestano. Per quello che possono saperne David e gli altri, quella è la fine del mondo:

“Perché non viene nessuno a salvarci? […] La polizia di stato o l’FBI o qualcuno?”

Questa novella rappresenta molto bene la minaccia che giunge dall’esterno, tanto quanto quella che giunge dall’interno, caratteristica poi ripresa dalla maggior parte dei film e romanzi a tema zombie.

Il Federal Food Supermarket si trasforma in una specie di microcosmo sociale, con caratteri molto marcati. Per farlo, King ci mostra come i superstiti abbiano sviluppato due diverse correnti di pensiero riguardo a quello che sembra essere emerso dalla nebbia poco prima e aver afferrato un ragazzo, trascinandolo verso una brutta fine:

“C’era la Società della Terra Piatta, capeggiata da Norton […] non credevano nemmeno a una parola.”

Dall’altra parte, invece, il delirio mistico dei seguaci della signora Carmody:

“Non c’è difesa contro la volontà di Dio. Sta arrivando. Ho visto i segni.”

L’orrore esterno diventa, così pretesto per un orrore più prettamente umano ed interno. Ma andiamo con ordine.

I supermercati sono uno dei luoghi più creepy che esista.

Le caratteristiche del genere:

1. L'orrore viene dall'esterno

In qualsiasi verso li consideriamo, i racconti che appartenenti a questo sottogenere sono tutti caratterizzati per una minaccia esterna. Che si tratti di morti viventi, di un’epidemia mortale come ne “La maschera della morte rossa”, creature extra-dimensionali come in “The Mist” o, addirittura di camion omicidi come in “Camion”, la forza generatrice dell’orrore è qualcosa di altro rispetto al mondo quotidiano dei protagonisti.

2. Il POV dei protagonisti: la fine del mondo

Esatto. Per quello che i nostri eroi possono intuire dall’alto delle loro roccaforti più o meno improvvisate, tutto quello che sta accadendo alla loro quotidianità è una manifestazione di un fenomeno su larga scala. Parliamo della fine del mondo. Si nota bene in “The Mist” con il delirio religioso della Carmody e dei suoi seguaci; si intuisce altrettanto bene nell’atmosfera medievale de “La maschera della morte rossa”.

3. Il ruolo della casualità

I personaggi che andiamo ad incontrare non scelgono volontariamente di sottoporsi a quell’orrore né tanto meno di farlo in quelle date circostanze. È quasi un caso se David e suo figlio riescono a scampare alle prime manifestazioni della nebbia: un caso dal nome Federal Food Supermarket. E il principe Prospero? Beh, se non avesse avuto lo stato di reale sarebbe morto come tutti i suoi sudditi. Essere membro di una comunità come Jerusalem’s Lot? Potresti dirmi che nessuno sceglie di nascere in un certo posto. Ecco perché questo punto va letto in stretta soluzione di continuità con il prossimo.

4. L'aggregazione è artificiale

Le vittime di questa specie di apocalisse della quale andiamo discorrendo non fanno parte di una comunità a sé stante.

di una piccola città come nel sottogenere dello Small town horror, di un unico nucleo famigliare.

Se pensiamo un attimo alle opere letterarie e visive appartenenti allo Small town horror, notiamo che l’orrore è circoscritto e prende di mira una singola comunità. Null’altro. “Salem’s Lot”, “Cose Preziose” per quanto riguarda King. “Midnight Mass” per quanto riguarda il mondo delle serie TV.

Un orrore che riguarda un singolo nucleo familiare invece ha caratteristiche diverse, anche in un’apocalisse: pensiamo, su tutti per quanto riguarda le opere cinematografiche a “A quiet place”.

I nostri sopravvissuti, invece, sono uomini e donne provenienti da realtà fondamentalmente eterogenee: è l’orrore che può, semmai, costituirli in una nuova comunità sociale.

Il senso di aggregazione e di comunità sono presenti in tantissime delle opere di Stephen King.

Orrore e aggregazione: le differenze con l’infestazione.

Qual è la differenza fra “The Mist” e “The Shining”? O, perché no, la differenza tra quest’ultimo e “La maschera della morte rossa”, in esso abbondantemente citata?

Sarebbe più corretto parlare di differenze, al plurale:

1. La natura dell’orrore: in un caso di infestazione l’orrore nasce da un ambiente circoscritto, come abbiamo avuto modo di leggere in questo articolo sull’orrore scolastico e in questo articolo sull’orrore e alberghi.

2. La percezione dei protagonisti: il fantasma o il demone sono elementi sovrannaturali personalissimi. Di certo inidonei a una diffusione apocalittica su larga scala.

3. L’aggregazione, in una infestazione classica, non è affatto artificiale o forzosa. Si parla di un orrore che perseguita una data famiglia, come quella dei Torrance. Oppure, sotto un altro profilo, un orrore che viene consapevolmente scelto da dei partecipanti a un esperimento, come in “Hell House” di Richard Matheson e “Hill House” di Shirley Jackson.

Orrore e aggregazione: quali sono le sue funzioni?

Scopire l’orrore nell’aggregazione, a mio avviso, si presta molto bene a due diversi scopi narrativi. E, forse, al contempo sociali.

A. L'orrore dimostra che, talvolta, il vero mostro è l'uomo

Ciò avviene contrapponendo certe abominazioni che strisciano nella nebbia e che, per loro stessa natura sono portate naturalmente a cacciare e uccidere qualsiasi cosa trovino sulla loro strada, a degli uomini che consapevolmente scelgono di agire per danneggiare gli altri.

Così le creature di “The Mist” sono il motore della narrazione, certo, ma non saranno mai così odiose quanto le manie della signora Carmody o come un gruppo di soggetti che attira, tortura e uccide i propri simili come nelle scene iniziali di “Resident Evil: Extinction”. I film sugli zombie riescono molto bene in un intento del genere. Come ne “L’alba dei morti viventi”.

B. L'orrore aiuta i protagonisti a ritrovare i loro punti fermi

Quando tutto sembra essere perduto, il protagonista capisce quali siano le cose che per lui contano davvero e, questa, è una cosa che ho cercato di evidenziare in “Manichini”. Ovviamente questo non è un assioma, ma solitamente questo avviene per quanto riguarda la socialità. Pensaci: gli uomini, per sopravvivere alla minaccia esterna e alle insidie interne dei propri simili, non hanno altra scelta che riscoprire il loro essere zòon politikòn.

Un frame da "L'alba dei morti viventi" di Zack Snyder.

Bibliografia:

  • Puoi leggere “The mist” in Scheletri, Stephen King, Sperling & Kupfer, 1999.
  • Trovi “La maschera della morte rossa” in Racconti del terrore, Rizzoli, 1997.