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Orrore in albergo

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Tempo di vacanze, non è vero?

Sicuramente, almeno una volta nella vita, hai dormito in un albergo. Non crederei al contrario. Gite di classe – di quelle fighe che si fanno gli ultimi anni di liceo –, vacanze con i tuoi, con il tuo moroso o la tua morosa. O, perché no, viaggi di lavoro.

Ogni volta che metto piedi in un albergo, ti svelo un segreto, non riesco a fare a meno di provare un certo brivido lungo la schiena.

No, non certo per il timore di vedere due gemelline in fondo al corridoio o, se vogliamo essere più fedeli al romanzo – e che romanzo –, strani individui travestiti da cani.

L’orrore e l’infestazione degli alberghi e delle loro stanze, in letteratura, è uno degli argomenti che più mi attira e rimanda alla considerazione di un paragrafo addietro: perché mi scende un brivido lungo la schiena ogni volta che apro una stanza d’hotel?

Prima scopriamo insieme alcune delle migliori storie a tema, poi ti darò la mia risposta.

Intanto, ti basterà sapere che vi sono due macro-generi di orrore alberghiero: in uno, in assoluto il più frequente, la trama è retta da un’infestazione sovrannaturale; nell’altro, invece, da null’altro che depravazione umana.

Possiamo distinguere due casi di infestazione.

1. Un intero albergo: l'infestazione riguarda tutto l'edificio

“Tutti i grandi alberghi hanno i loro scandali. Così come ogni grande albergo ha il suo fantasma.”

Quanti anni avevi quando hai scoperto che le gemelline del film “The Shining” non compaiono nell’omonimo romanzo?

Che tu sia un’appassionata o un appassionato del film piuttosto che del libro o viceversa – o, perché no, della miniserie di tre episodi sceneggiata da King in persona –, non puoi non considerare “The Shining” come il più famoso esempio di questo sottogenere.

Jack Torrence, uno scrittore con passati problemi di alcolismo – noti somiglianze con il suo creatore? – deve trascorrere un intero inverno assieme a sua moglie Wendy e suo figlio dai poteri soprannaturali, Danny, come il custode dell’Overlook Hotel, in Colorado.

Un gigantesco Hotel solo per tre persone. Non adatto a chi soffre di agorafobia.

“L’Overlook affrontava l’inverno come aveva fatto per quasi tre quarti di secolo, le finestre buie ora orlate di neve, indifferente al fatto che fosse ormai tagliato fuori dal mondo. O forse quella prospettiva gli riusciva accetta: dentro il suo guscio i tre si accinsero alla solita trafila delle prime ore della sera, simili a microbi intrappolati nell’intestino di un mostro.”

Un altro titolo interessante è “Antiche Stregonerie”, di A.Blackwood. L’albergo, in questo caso è, però, solo un incidente di trama. Un’occasione. Lo sventurato protagonista si ritrova sì ad alloggiare in un albergo, ma l’orrore, pur presentando indizi della sua presenza proprio all’interno della struttura, è presente nell’intero strato della popolazione di quel paesino felino sperduto tra le montagne francesi.

“Vezin sorrideva curiosamente fra sé mentre descriveva in qual modo cominciò a rendersi conto di tutto questo. Non v’erano tracce di alcun’altro turista nell’albergo.”

Lo Stanley Hotel, fonte di ispirazione per l'Overlook Hotel di"The Shining".

2. Albergo e stanze infestate

Da qui ci muoviamo verso il cuore della questione. Domandati cosa accadrebbe se, in un romanzo sulle case infestate, trovassi che solo una stanza è preda di fenomeni inconsulti. Prova a immaginarti nei panni del personaggio principale.

Strano vero? Tutto intorno la quiete e la pace. Le tue notti invece sono tormentate non da vicini molesti, ma da qualcosa di ben peggiore.

Qual è la peculiarità di una trama del genere?

Se ci pensiamo, per qualche giorno o settimana la nostra vita privata – non quella pubblica, che condivideremo, nel caso, con gli altri ospiti dell’albergo – non si svolgerà in una casa intera ma in una stanza. In parole povere, questo sottogenere è nel piccolo una casa infestata vera e propria. Cosa che non troviamo, ad esempio, in “Antiche stregonerie”.

Certo è che gli stessi albergatori e le loro tradizioni offrono una serie di appigli davvero interessanti agli scrittori dell’orrore. Da nessuna parte esisterà, nelle strutture più antiche e importanti, una stanza numero tredici, così come un piano dello stesso numero. Perché? Gli albergatori – e, pensa un po’, i Newyorkesi – sono esseri superstiziosi e, ovviamente, il numero tredici, foriero di sventure di ogni genere, non può essere nemmeno nominato. Figuriamoci rappresentato. Per la gioia di James e King, aggiungo.

2.1. Un esempio tradizionale

Una serie di racconti hanno tratto ispirazione dalla suggestione che solo una stanza sconosciuta e asettica può darti. Se congiungiamo questa impressione alle superstizioni degli albergatori, il gioco è fatto!

L’occasione, come nel caso de “La stanza numero 13” di M. R. James è, manco a dirlo, una vacanza. Nonostante altri orrori Jamesiani si sviluppino in una stanza d’albergo – parlo di “Fischia e verrò da te” –, questo racconto mette bene in evidenza il legame funzionale tra stanza e infestazione.

In questo caso, una stanza che sembra scomparire e apparire misteriosamente in un corridoio lungo e scarsamente illuminato.

“La camera accanto alla 14 era la 12, la sua. Non c’era nessun numero 13.”

Dalla sua stanza, come se non bastasse, dopo il calar del sole, il narratore vede riflessi sull’altro palazzo scene grottesche che sembrano tratte direttamente da un sabba. Solo che, ovviamente, non può riuscire razionalmente a rintracciarne l’origine.

“[…] vide anche l’ombra dell’occupante della numero 13, a destra. Questa era forse più interessante. Il numero 13 stava, come lui, appoggiato con i gomiti sul davanzale, e guardava la strada. Sembrava un uomo alto e magro – o era forse una donna? – quanto meno era una persona che si copriva la testa con una specie di drappo prima di andare a letto, e, rifletté Anderson, doveva avere una lampada con il paralume rosso, una lampada che oscillava parecchio. Una luce fioca e rossa danzava su e giù sul muro davanti.”

“L’ombra che proveniva dalla camera accanto mostrava chiaramente che stava ballando. La sua figura sottile passò più volte davanti alla finestra: agitava le mani e sollevava con incredibile agilità una gamba magrissima.”

"In fondo le camere d'albergo sono per natura un po' inquietanti, non credete?"

2.2. Un'idea originale: "1408"

Come una novella riproposizione de “L’incubo di Hill House” o de “La casa d’inferno”, due romanzi che hanno fatto da apripista all’investigazione scientifica della casa infestata in senso stretto, King ci trasporta al tredicesimo – pardon, quattordicesimo – piano del Dolphin Hotel, a New York. Teatro dell’orrore è una stanza maledetta la cui somma delle cifre dà, che strano, il numero 13.

Mike Enslin è uno scrittore: i suoi lavori di successo riguardano le esperienze da lui vissute in luoghi definiti infestati. Cosa di meglio per concludere il sul ultimo reportage sugli alberghi se non passare una notte in una stanza mortale nascosta alla maggioranza degli appassionati di paranormale? Anche qui, mi dirai, sento puzza di cliché.

La 1408 è la Casa Belasco – cito ancora Matheson e “Hell house” – del Dolphin Hotel. Mortale fino all’inverosimile. Più di trenta decessi, tra suicidi e morti naturali, avvenuti al suo interno dagli inizi dell’attività dell’albergo, negli anni ‘10 del Novecento.

“Olin aveva davvero paura della camera 1408 e di quello che sarebbe potuto succedere a Mike”

Cliché?

A prima vista sì. Tuttavia, il risultato a cui perviene King è davvero originale. La natura del male, infatti, come abbiamo visto per L’Overlook Hotel, non deriva da un’infestazione ereditata dai precedenti occupanti della stanza. Inerisce la struttura stessa dell’ambiente. È la stanza a voler uccidere il povero Mike Enslin: qualcosa vive tra le mura della 1408. Qualcosa pronto a uccidere e digerire l’anima di qualsiasi essere vivente sia così sfortunato – o sprovveduto – da intrattenersi al suo interno. Come una pianta carnivora.

“Non ci sono fantasmi nella 1408 e non ce ne sono mai stati. Ma c’è qualcosa là dentro.”

La raccolta nella quale possiamo trovare "1408" è "Tutto è fatidico".

Un altro sottogenere: quale infestazione?

Psycho di Robert Bloch – titolo originale, prima del successo incredibile del film, “Il passato che urla” – rientra a pieno titolo in questo sottogenere.

La peculiarità, che lo avvicina più al Thriller che all’Horror, è quella di non riportare all’interno della struttura narrativa alcun genere di elemento soprannaturale.

Esatto, il Bates Motel non è famoso per le siepi che si muovono da sole, uomini vestiti da cani, feste sfrenate di fantasmi molesti. Lo è per il suo proprietario nonché custode Norman Bates, figura interamente tratta dal serial killer Ed Gein, soprattutto per il rapporto conflittuale con la madre. Succube di una madre ormai morta ma che continua a vivere nei recessi malati della sua mente, Norman non riesce a resistere all’impulso di uccidere. Ne sanno qualcosa Mary Crane, l’avida impiegata, e Arbogast, l’investigatore privato.

“Ogniqualvolta pensava alla mamma, tornava bambino, con vocabolario, riferimenti e reazioni emotive da bambino. Quando invece era solo… non realmente solo, ma sprofondato in un libro… era un individuo maturo. Maturo abbastanza da capire persino che poteva essere affetto da una forma lieve di schizofrenia

Come “The Shining” di Kubrick, anche il film di Hitchcock ha fatto la storia del cinema della suspense. C’è qualche legame con le caratteristiche più distintive dell’orrore alberghiero?

Pensa alla famosissima scena della doccia. Pensa alla sua natura. Quella donna era in un momento di vulnerabilità estrema.

Questo ci porta a una conclusione.

L'incredibile Anthony Perkins, volto di Norman Bates per "Psycho" e i suoi sequel.

L'essenza dell'orrore alberghiero

La mia opinione in quanto lettore e scrittore è questa: l’orrore alberghiero ha la sua raison d’être nella violazione di un patto. Noi, quando mettiamo piede in un albergo, stipuliamo un contratto. Prima giuridico e poi sociale: un patto di familiarità.

Noi, per il periodo del nostro soggiorno, affidiamo momenti della nostra massima vulnerabilità a perfetti sconosciuti e ad ambienti che non ci sono, in realtà, davvero familiari.

Pensa a Mary Crane, uccisa mentre si fa la doccia. Pensa a dormire nella 1408 o nella stanza numero 13 di James. O, perché no, a trascorrere l’inverno assieme a due persone già di per sé vulnerabili come tua moglie e tuo figlio piccolo in un albergo deserto, come in “The Shining”.

Un’altra interpretazione che io condivido, essendo sovrapponibile alla mia, si rifà, come nell’articolo sull’orrore scolastico che ti invito a recuperare qui, a un qualcosa lasciato in sospeso. Se ci pensi, un albergo è fatto così: centinaia di altri ospiti hanno dormito in quelle lenzuola, su quel letto. Questo è vero anche per una casa infestata, sì. Il meccanismo è lo stesso, diversa la quantità di ospitanti nell’arco dello stesso tempo. In quale modo sentiamo la loro eredità anche a distanza di decenni?

Ti lascio, cara lettrice o caro lettore, con le suggestive parole di Stephen King:

“In fondo le camere d’albergo sono per natura un po’ inquietanti, non credete? Quante persone avranno dormito nello stesso letto prima di noi? Quante erano malate? E quante stavano impazzendo? Quanti magari hanno pensato di leggere qualche ultimo versetto dalla Bibbia presa dal cassetto del comodino per poi impiccarsi nell’armadio vicino al televisore?”

Bibliografia:

  • “The Shining”,  Stephen King, Bompiani, 2017.
  • “Antiche Stregonerie” puoi trovarlo in “John Silence, investigatore dell’occulto”, Algernon Blackwood, Fanucci, 1977.
  • Puoi leggere “La stanza numero tredici” in “Racconti di fantasmi”, M.R. James, Edizioni CDE, 1992.
  • Trovi “1408” in “Tutto è fatidico, 14 storie nere”, Stephen King, Sperling&Kupfer, 2013.
  • “Psycho”, Robert Bloch, Bompiani, 2015.