Ti sei mai chiesto quale sia la caratteristica più importante dei racconti di Stephen King? Ti sei mai chiesto perché questi sia commercialmente definito il “Re dell’orrore”, il primo per fama tra i moderni scrittori del genere?
Se c’è una caratteristica tipica che attraversa gran parte delle opere del primo Stephen King – mi rifaccio soprattutto alla raccolta “A volte ritornano” – questa è da ricercarsi nei modi con i quali l’orrore si manifesta.
Io credo, personalmente, che l’orrore che trasuda dalle opere di King sia fondamentalmente inaspettato. Altolà, cosa intendi per “inaspettato”?
E poi, non è forse questa una caratteristica di altri autori?
Facciamo un bel respiro.
King e l'inaspettato
Credo che questa caratteristica si possa apprezzare principalmente nei racconti, di per sé un modello narrativo particolarmente adatto allo scopo; in un romanzo, a un certo punto, l’orrore deve pur essere raccontato e affrontato: cessa di diventare inaspettato dopo un po’ perdendo quella fugacità che invece è presente in opere più brevi.
Non ti allarmare, non sto dicendo che il fatto che in “IT” sia totalmente plausibile trovare un clown affamato che si aggira per le fognature di una tranquilla cittadina del Maine degli anni ’50, affatto. Dico solo che dopo che King te lo ha presentato – il povero George Denbrough ne sa qualcosa – cessa di diventare inaspettato. Sai che quel qualcosa è lì in agguato per ulteriori migliaia di pagine.
Mentre in un racconto? Beh, va di per sé che anche – e soprattutto – dal punto di vista della mole di pagine è più limitato: la descrizione dell’orrore che può contenere, spesso e volentieri, è essa stessa limitata.
E qui entra in gioco l’elaborazione: quanto detto prima vale per la mole di lettura e la possibilità dell’inchiostro di organizzarsi in certe forme per raccontare certi orrori. Ma per quanto riguarda noi lettori? Ebbene, è ancora più vero che il racconto è la forma migliore per dare il senso dell’inaspettato e spesso e volentieri lasciarti con un pugno di mosche in mano e un senso di amarezza in bocca.
L’orrore e il soggetto Kinghiano
L’orrore di King è assolutamente inaspettato anche dal punto di vista del suo soggetto.
La prima accezione di orrore inaspettato attiene principalmente alla sua identità, come accennavo prima. In poche parole, proviamo a guardarci negli occhi e a non raccontarci bugie: quando puoi aspettarti che un dito – un dito umano con un’infinità di falangi – esca dal tubo di scarico e inizi a prenderti di mira?
“Era un dito molto lungo, ma per il resto del tutto normale all’apparenza. […] Il dito sospese subito le sue cieche esplorazioni. Ruoto su se stesso… e indicò Howard.”
I camion in – nemmeno a dirlo – “Camion” si rivoltano contro l’umanità. Rendiamoci conto che stiamo parlando di camion che comunicano a colpi di clacson in codice morse per poter essere riforniti di gasolio, mica di chissà quale sofisticata intelligenza artificiale o di androidi antropomorfi.
“Non c’era nessuno sui camion. Il sole batteva e accendeva barbagli sulle cabine deserte. Le ruote giravano da sole.”
“Il clacson rincominciò ad assordarci; colpi duri, famelici, che viaggiavano in linea retta dell’aria e venivano rimandati dall’eco. Seguivano uno schema, brevi e lunghi, con una sorta di ritmo.”
E cosa dire di una pioggia di rospi carnivori che si abbatte ogni sette anni sulla cittadina di Willow ne “La stagione delle piogge”?
“Il rumore dei rospi che colpivano il tetto era terribile, ma quel gracchiare e gracidare era anche peggio, perché erano suoni che arrivavano dall’interno della casa… e da ogni angolo della casa.”
“Erano una confusione di denti e occhi neri e dorati e corpi nocchiuti ed enfiati.”
“Se lo strappò di dosso e per un momento, quando alzò le braccia, l’orrida creatura fu all’altezza dei suoi occhi, una piccola macchina utensile omicida che arrotava i denti a pochi centimetri dal suo volto.”
La quotidianità dell’orrore popolare di King
Il secondo aspetto invece – malgrado si confonda inevitabilmente con il primo, del quale costituisce solo un modo – contribuisce a caratterizzare ulteriormente la sua produzione: l’orrore è quotidiano. Qualsiasi borghese può sperimentarlo. Questo, dicevo, è uno stratagemma narrativo per rendere più efficace il contatto con l’inaspettato e consentire al lettore medio americano di familiarizzare con questo.
Una scimmia che batte i piatti, un giocattolo che chiunque di noi può comprare al mercatino dell’usato, si rivela diabolico – “La scimmia”.
Che dire invece delle cose simili a folletti che si annidano della macchina da scrivere di un povero autore ne “La ballata della pallottola flessibile” inducendolo alla paranoia?
Ne “Il compressore”, l’omonima macchina di una lavanderia prende vita da sola e diventa un inesorabile strumento di morte:
“Jackson guardò il compressore e mandò un urlo. Stava cercando di strapparsi via dal cemento, come un dinosauro che tentasse di estrarsi da un pozzo di catrame […]. Stava ancora cambiando, fondendosi. […] Per un attimo, due palle di fuoco fissarono Hunton e Jackson come occhi splendenti, pieni di una tremenda e gelida fame.”
“La falciatrice”, poi. Un adoratore di Pan che inizia a falciarti il prato seguendo la sua falciatrice che si muove con autonomia ti sembra abbastanza inaspettato?
“Pan. È Pan il principale.”
“La falciatrice a motore, rossa e antiquata, che il grassone aveva portato nel suo furgoncino, andava da sola. […] Andava a tutta birra, facendo scempio della povera erba del prato di Harold Parkette come un rosso e vendicativo demonio piovuto dall’inferno.”
“L’uomo della falciatrice si era tolto gli indumenti […]. Nudo e sporco d’erba, strisciava dietro la falciatrice a una distanza di un metro e mezzo, mangiando l’erba tagliata.”
Perché un orrore inaspettato?
Secondo me ce lo spiega King direttamente in “Danse Macabre” usando come riferimento un episodio della sua infanzia: in pieno clima da Guerra Fredda, il direttore del cinema interruppe la riproduzione del film che anche il nostro autore – con qualche anno di meno – stava guardando, per far sapere alla platea di piccoli spettatori increduli che i russi “avevano vinto”. Cosa? Un pezzo di guerra. Avevano, cioè, spedito per primi un satellite spaziale in orbita attorno alla terra.
“Vi ricordate dove eravate quando i russi lanciarono Sputnik I?”
Dopo aver accennato alla sua concezione di terrore identificandola in “un diffuso senso di spiazzamento; quando le cose sembrano sul punto di sfasciarsi”, King adopera una breve digressione sullo spirito del pioniere e di come la realtà che tutti si immaginavano con riferimento ai viaggi dello spazio rischiasse di subire – in quell’attimo lunghissimo susseguente alla rivelazione dell’esistenza di Sputnik – tutte le conseguenze di un orrore inaspettato: i russi avevano battuto gli americani alla corsa per lo spazio. Che sarebbe successo da lì in avanti?
“Era questa la culla di elementare teoria politica e sogni tecnologici in cui eravamo stati tenuti io e molti altri bambini della guerra fino a quel giorno d’ottobre, quando al culla fu rudemente strattonata e noi cademmo tutti. Per me fu la fine dei sogni… E l’inizio di un incubo.”
King e i suoi detrattori
“[Stephen King è] uno scrittore horror da soap-opera.”
Così, lapidario e conciso, si esprime il critico letterario S.T. Joshi in “Io sono Providence”, la biografia contenente vita morte e miracoli di H.P. Lovecraft.
Perché un giudizio così duro? E perché questo giudizio è tendenzialmente condiviso in certi ambienti letterari nei quali risuona, più o meno in questi termini, il mantra: “King non ha mai scritto davvero horror”?
Una prima spiegazione secondo me risiede proprio nel carattere popolare dell’orrore di King: chiediamoci un secondo quale sia il fine del suo orrore. Riflette una condizione universale? Che origine ha? Al secondo quesito abbiamo già in parte risposto: l’origine è tendenzialmente inaspettata e consiste nella traslazione di archetipi soprannaturali nel mondo moderno. Così Salem’s Lot viene infestata dai vampiri, o Castle Rock è vittima di un patto con il diavolo su larga scala.
La “soap-opera” kinghiana consiste nel non riflettere una concezione universale dell’esistenza attraverso l’orrore, come avviene ad esempio in Lovecraft. In molti credono che gli orrori e le creature di King siano solo dei “pupazzi”, costruiti al fine di mettere un medio borghese davanti a quello che gli fa più paura: la fine delle sue pacifiche certezze. Soprattutto in ambito familiare.
La seconda spiegazione è più venale: un autore che nella sua vita ha prodotto così tanto e ha avuto così tanto successo, di sicuro è un ottimo bersaglio per le malelingue.
Ripetiamo assieme: King ha scritto ANCHE horror. Innegabile. Bello, brutto? Popolare o trascendentale?
Ai posteri l’ardua sentenza.
[Vuoi leggere un’opinione dissenziente mica male su King e il suo operato? Prova qui: zenosaracino.blogspot.com]
Biografia:
- Danse Macabre, Stephen King, trad. Edoardo Nesi, Sperling&Kupfer, 2019.
- A volte ritornano, Stephen King, Bompiani, 1992.
- Io sono Providence. La vita e i tempi di H. P. Lovecraft, S. T. Joshi, Providence press, 2020.